Legittimo l’accertamento induttivo dell’Agenzia delle Entrate al tassista sulla base dello scostamento tra i chilometri percorsi indicati nello studio di settore presentato e quelli rilevabili dalle schede carburante: a maggior ragione quando l’esiguità del reddito dichiarato rispetto al valore della licenza del taxi, evidenzia un’attività anti economica poco credibile. Lo ha stabilito la Cassazione con l’ordinanza 30664 del 18 ottobre 2022.
La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione
La vicenda riguarda due avvisi di accertamento emesso nei confronti di un contribuente, esercente l'attività di trasporto a mezzo taxi, con cui l’Agenzia delle entrate recuperava a tassazione, ai sensi dell’articolo 39, primo comma, lettera d) del D.P.R. n. 600/1973, ai fini IRPEF ed IRAP, maggiori imposte per € 13.456, per l'anno 2007, ed € 10.220, per l’anno 2008, oltre sanzioni e interessi. La Commissione Tributaria Provinciale di Milano accoglieva i ricorsi, previa riunione, con sentenza poi riformata parzialmente in appello, ove la Commissione Tributaria Regionale riduceva i ricavi determinati dall’Ufficio nella misura del 40%.
Di qui il ricorso in Cassazione del contribuente che lamentava sotto diversi aspetti l’insussistenza dei presupposti per l’emanazione dell’accertamento induttivo, per mancanza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza delle presunzioni utilizzate a supporto dall’ufficio.
Nel disattendere il ricorso del contribuente, la Cassazione ricorda che dall'anti-economicità del comportamento del contribuente, è possibile desumere in via induttiva, ai sensi dell' articolo 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. n. 600/1973 e dell' articolo 54, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 633/1972 in tema di IVA, sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente, utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo sul contribuente l'onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni. Gli elementi assunti a fonte di presunzione, peraltro, non devono essere necessariamente plurimi, potendosi il convincimento del giudice fondare anche su di un elemento unico, purché preciso e grave, la cui valutazione non è sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata (Cassazione n. 27552/2018).
Giustificato dunque l’utilizzo del metodo induttivo da parte dell’Agenzia delle Entrate, una volta specificati gli indici di inattendibilità dei dati contabili e dimostrata la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata. L’ufficio finanziario sulla base della discordanza tra i chilometri percorsi indicati nello studio di settore presentato nei vari anni accertati e quelli rilevabili con le schede carburante dello stesso periodo, aveva provveduto all’accertamento induttivo nei confronti del contribuente, alla luce dell’antieconomicità dell’attività in concreto svolta. Infatti, la licenza di taxi aveva un valore oscillante tra i 160.000 euro ed i 180.000 euro ed il contribuente aveva dichiarato negli anni un reddito tra i 9.000 e gli 11.000 euro.
Nel caso in esame, correttamente la Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto irrisorio ed inattendibile il reddito dichiarato dal contribuente negli anni accertati con riguardo all’attività svolta e al valore della licenza di taxi attese peraltro le discordanze tra lo studio di settore e i dati forniti dal contribuente sul chilometraggio sulla base della discrasia tra i chilometri percorsi indicati nello studio di settore presentato e quelli rilevabili con le schede carburante.
La Cassazione ha precisato che, una volta contestata dall’erario l’antieconomicità di un comportamento del contribuente, poiché assolutamente contrario ai canoni dell'economia, incombeva, poi, sul medesimo l’onere di fornire, al riguardo, le necessarie spiegazioni, essendo - in difetto - pienamente legittimo il ricorso all'accertamento induttivo da parte dell’amministrazione.
Ulteriori osservazioni
Sul punto, sempre in relazione ad un accertamento emesso nei confronti di un tassista, la Cassazione ha in precedenza affermato che in tema di accertamento induttivo mediante l’utilizzo di prove per presuntive, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l'esistenza del fatto da dimostrare, derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di ragionevole probabilità. È quindi legittimo l’accertamento induttivo al tassista che dichiara sempre lo stesso incasso mensile. Rilevante ai fini della verifica fiscale anche l'antieconomicità dell'attività con un prezzo medio al Km in contrasto con le tariffe concordate con le categorie di settore e il Comune (Cassazione n. 18906/2018).
Nel caso di specie, i giudici avevano valorizzato gli elementi utilizzati dall’ufficio per la ricostruzione, ritenuti non censurabili dal punto di vista logico-formale: in particolare sono stati valutati i riscontri dei corrispettivi e delle schede carburante, la piattezza dei consumi e dei costi a fronte di chilometraggi diversificati nei vari trimestri, la piattezza dei ricavi pur a fronte dello svolgimento del lavoro in una città turistica come Firenze caratterizzata da flussi stagionali nonché l’antieconomicità dell’attività con un prezzo medio al Km in contrasto con le tariffe concordate tra le categorie di settore e il Comune di Firenze.