Il tassista deve essere qualificato come “piccolo imprenditore” e, di conseguenza, il trasferimento della licenza taxi deve essere tassato, ai fini dell’imposta di registro, come una cessione di azienda. Questi principi sono stati espressi dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20770 del 21 Luglio 2021.
Prima di esaminare la vicenda concreta, occorre premettere che la licenza amministrativa del servizio taxi è soggetta alla disciplina speciale di cui all’articolo 9 della Legge n. 21 del 15 gennaio 1992. Come rilevato dalla pronuncia in esame, in generale, la licenza amministrativa che consente lo svolgimento dell’attività di taxi, non può essere ceduta per effetto di un semplice accordo tra le parti. Il titolare della licenza, infatti, può chiedere, alla competente autorità comunale, il trasferimento della licenza, a persona, in possesso di determinati requisiti e da lui stesso designata, sempreché il titolare si trovi in una delle condizioni previste dalla norma .
Qualora ricorrano tutte le condizioni previste dalla norma, l’ente pubblico è tenuto ad operare il trasferimento della licenza.
Nel caso di specie, il titolare della licenza era deceduto e gli eredi avevano chiesto la voltura della licenza in favore di uno di essi.
L’ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che la voltura della licenza costituisce una cessione di azienda e, pertanto, anche nel caso di cessione conclusa solo in forma verbale, le parti avrebbero dovuto pagare l’imposta di registro.
Di conseguenza è stato notificato un atto di accertamento al fine di contestare la mancata registrazione del contratto relativo alla cessione della licenza taxi.
Al riguardo, occorre precisare che l’articolo 3 del testo unico sull’imposta di registro, D.P.R. n. 131/1986, prevede, in via eccezionale, l’obbligo di registrare alcuni contratti verbali, tra i quali i contratti aventi ad oggetto il trasferimento o l’affitto “….di azienda esistenti nel territorio dello Stato…”.
A seguito del ricorso presentato dalle parti, la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli (sentenza n. 369/2009) ha accolto la tesi delle parti stesse, ritenendo illegittimi i criteri mediante i quali l’ufficio aveva calcolato il valore dell’azienda. La Commissione Tributaria Regionale della Campania (sentenza n. 245/2011), invece, ha accolto la tesi erariale ritenendo sussistente una cessione d’azienda.
La Corte di Cassazione, investita della questione, ha espresso i seguenti principi:
- la licenza per l’esercizio del servizio di taxi rappresenta il bene essenziale e primario tra tutti i beni che costituiscono il complesso aziendale avente ad oggetto l’attività individuale di trasporto di persone;
- tale licenza ha un autonomo valore di mercato, essendo consentita la sua trasferibilità;
- l’attività esercitata dal tassista è di natura imprenditoriale (articolo 2195 n. 3 cc). In particolare, il tassista deve essere qualificato come “piccolo imprenditore”, ai sensi dell’articolo 2083 cc e, più precisamente, come imprenditore artigiano, ai sensi dell’articolo 7 della legge n. 21/1992;
- il trasferimento della licenza taxi è equiparabile ad una cessione di azienda.
Per effetto di questi principi, i giudici hanno affermato che “…la cessione di licenza di autoservizio pubblico non di linea si presume onerosa ed idonea a determinare una ricchezza tassabile anche ai fini dell’imposta di registro.”
E’ stata, inoltre, respinta la tesi delle parti, secondo le quali il trasferimento della licenza era avvenuto mortis causa e, quindi, sarebbe stato soggetto all’imposta di successione e non all’imposta di registro. Questa tesi non è stata accolta in quanto si è ritenuto che il trasferimento della licenza all’erede subentrante non fosse avvenuto direttamente dal de cuius, ma sulla base di un successivo accordo intervenuto tra tutti gli eredi.
In senso conforme, nella motivazione, è stata richiamata la sentenza n. 2053 del 27 gennaio 2017, sempre della Corte di Cassazione.
In relazione ai profili attinenti alle imposte dirette, la sentenza in commento ha precisato che la licenza taxi “…rientra tra “i beni relativi all’impresa”, diversi dai beni-ricavi, la cui cessione a titolo oneroso realizza una plusvalenza che concorre alla formazione del reddito a norma dell’articolo 86, comma 1, del D.P.R. n. 917/1986